Questa settimana mi sono occupata di carceri, un tema a me molto caro.
Ieri Oristano ha ospitato il sottosegretario alla giustizia Giuseppe Berretta con il quale ho partecipato al convegno della comunità Il Samaritano sulle pene alternative e all’incontro in municipio con il Sindaco Tendas nel quale si è discusso dell’ex carcere di Piazzo Manno.
La città di Oristano deve riappropriarsi al più presto dell’ex struttura carceraria e lo stesso Berretta ha dichiarato massimo impegno per risolvere la questione.
La visita del sottosegretario si è sovrapposta ad un’altra interessante iniziativa sulle carceri che si è svolta nella mattinata di ieri a Nuoro alla quale ho dovuto rinunciare con grande rammarico.
La scommessa che sento di poter fare su un Parlamento presieduto da una personalità come Laura Boldrini e composto da molte donne e giovani, è tutta sui diritti.
Perché , come lei, credo che una cultura dei diritti sia propria del centrosinistra e che quella sia la base per ritrovare il senso di una comunità che a volte, troppe, sembra smarrita.
Ma soprattutto perché sono convinta che cultura sia una parola magica, una scatola cinese che contiene mille soluzioni a molti dei nostri problemi. Per la cultura passa l’integrazione, la tolleranza, la civiltà, l’educazione e anche, perché no, la generosità.
E’ la cultura la luce che ci rende capaci di guardare dove è buio. Come nelle nostre carceri, dove vivono persone che hanno perso due cose: la prima è la libertà, ed è la legge che ne priva chi commette reati, la seconda è la dignità, ed è l’uomo, anzi, il nostro modo di essere uomini, che viene sottratta in modo assolutamente arbitrario a chi invece deve avere la possibilità di essere rieducato, come previsto dalla nostra Costituzione.
E poi, dietro gli adulti, ci sono i bambini. Di questo vorrei e mi permetto di parlarvi.
Nel nostro paese ,oggi , sono una sessantina le madri detenute con i propri figli, piccoli che hanno da zero a tre anni, e poi c’è un piccolo esercito di altri 100mila bambini e ragazzi che ogni giorno varcano la soglia dei penitenziari per non rompere il legame con coloro che restano, prima di tutto, i loro genitori.
E’ sempre una questione di colpe tra madri e figli, non è difficile immaginare quale possa essere il disastro psicologico di un bambino costretto a vivere in un carcere, di una madre ridotta a dover scegliere tra
due dolori entrambi fatali: separarsi dalla sua creatura o vederla crescere dietro le sbarre con il peso di una condanna che non è la sua.
Forse bisognerebbe vedere i volti di questi bambini che la sera vengono rinchiusi a chiave in celle fatiscenti e buie, che si lavano in bagni sporchi, che non hanno spazi adeguati ai loro minimi orizzonti, non dico per giocare, ma nemmeno per immaginare che il mondo la fuori possa essere un po’ meglio dell’unico che hanno conosciuto. Come ha fatto la giornalista Cristina Scanu in un bellissimo libro che consiglio a tutti di leggere dal titolo “Mamma è in prigione”.
Alla fine i conti si fanno con tutto, a tutto ci si abitua.
Ci si può dire che passerà, che domani andrà meglio.
Ma è l’abbandono costante la cosa che lascia più sfiniti, il fatto che di queste situazioni ci si occupi a singhiozzo, solo quando diventano emergenze,solo per richiami della corte di Strasburgo, perché c’è sempre qualcosa di più importante da fare. O forse perché degli ultimi non importa niente a nessuno.
Ecco, per me invece, non c’è niente di più importante che cambiare lo sguardo di un bambino che viene chiuso a doppia mandata in un luogo che per lui, per loro tutti, non dovrebbe esistere in natura.
“Non un mio crimine ma una mia condanna” è una petizione promossa da Bambinisenzasbarre Onlus, un’associazione che si occupa di tutelare i diritti dei 100 mila bambini
che ogni giorno entrano nelle nostre 213 galere, per non parlare del centinaio che hanno meno di tre anni e dunque vivono con la mamma o il papà dietro le sbarre.
Con l’ora d’aria e tutto il corollario di una giornata senza vita.
Una petizione che io ho firmato con convinzione e in cui si chiede di consentire ai detenuti che sono genitori di poter essere presenti nelle tappe fondamentali della crescita di un bimbo, perché l’abisso che divide le vite di questi ragazzi dagli altri possa essere non dico colmato, ma attenuato
nella sua brutale grandezza.
Perché si sentano meno in colpa per reati che non hanno commesso, perché restino bambini come gli altri.
Tutto questo per dire che di pari passo con l’importante dibattito sullo stato delle nostre carceri, sulla riforma del sistema in direzione di una depenalizzazione e di una revisione dell’istituto della custodia cautelare, non dobbiamo dimenticare i diritti dei più piccoli.
Lo dobbiamo pretendere. Lo dobbiamo fare per tutti noi,perché questi bambini non siano da subito orfani di diritti e dunque, da adulti, non abbiano le risorse e diremmo ancora, la cultura, per essere figli della casa dei doveri.
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