19 ottobre 2010 – Un fronte compatto per dire no all’esclusione delle donne dalla Giunta Cappellacci bis, in palese violazione dell’articolo 51 della Costituzione e per dire no, più ampiamente, a tutte quelle forme di discriminazione femminile nell’accesso alla vita pubblica.
“Per l’articolo 51 della Costituzione” è appunto il nome del Comitato regionale che vede in prima linea donne esponenti del PD, dei Rossomori, di IRS e delle associazioni culturali e politiche ed ha come scopo quello di promuovere la parità di genere nell’accesso agli incarichi elettivi ed istituzionali del nostro Paese. Nell’agenda del Comitato, al primo punto, c’è il ricorso al TAR contro l’assenza delle donne nella nuova Giunta regionale, ricorso che verrà depositato entro dieci giorni.
Una battaglia che è necessario combattere in modo unito e trasversale per sollevare una questione, quella della discriminazione femminile, che era solo apparentemente superata e che un esecutivo regionale monocolore e monogenere ha scoperchiato in tutta la sua potenza. Le donne hanno il diritto-dovere di partecipare alla costruzione della vita e della storia di questo Paese e lo spazio, se viene loro negato “d’ufficio”, come è accaduto con il caso Cappellacci, devono riprenderselo anche loro “d’ufficio”, attraverso meccanismi, solidi e concreti, di riequilibrio della rappresentanza di genere.
Per questo, approvo e condivido le proposte del PD in consiglio regionale, che mirano a varare le quote di genere alla Regione, nelle province, nei comuni e negli enti regionali. Ma le quote rosa non bastano: dobbiamo muoverci anche su altri fronti per superare la disparità di accesso alla vita pubblica. Spesso l’esclusione femminile è una auto-esclusione, perché i tempi e i modi della politica sono difficilmente conciliabili con quelli della famiglia e le donne, molto più che gli uomini, si trovano a un bivio: famiglia o lavoro, famiglia o carriera, famiglia o politica. E’ necessario dunque prevedere sistemi che facilitino la partecipazione delle donne, che rispettino i tempi della maternità, che ristabiliscano una vera parità non solo al di fuori, ma anche all’interno della famiglia stessa.
Dobbiamo dedicare maggiore attenzione alle donne lavoratrici, introdurre meccanismi più flessibili di fronte alla gravidanza e alla maternità, incentivi alla compartecipazione maschile rispetto alla vita familiare, come accade nel Nord Europa. In Italia succede ancora che maternità significhi perdere il proprio posto di lavoro, o non trovarlo affatto, per il solo fatto di essere donne in età fertile: questo non è degno di un paese civile e democratico. E poi c’è il versante culturale da affrontare: il sessismo veicolato dai media e dai messaggi pubblicitari.
L’Unità, proprio quest’estate, ha coraggiosamente raccolto tutti gli spot, le affissioni, le inserzioni pubblicitarie che offendono le donne, trattandole non da persone, ma da oggetti. E’ evidente che un effetto collaterale di questo martellamento pubblicitario è il riflesso in termini di degrado dell’immagine della donna e, di contro, un maschilismo montante, sopravvissuto alle battaglie per l’emancipazione e la parità di genere; un neo-maschilismo alla Cappellacci – che “se per loro non c’è posto in Giunta, lo troveremo da qualche altra parte”, come se le donne fossero pedine di uno scacchiere, oggetti appunto.
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